martedì 12 marzo 2019

Evoluzione giuridica della responsabilità medica

   Quando parliamo di responsabilità medica, ci riferiamo alla responsabilità professionale di chi esercita un'attività sanitaria per i danni derivati al paziente da errori, omissioni o in violazione degli obblighi inerenti all'attività stessa. In sostanza, può esserci responsabilità medica quando sussiste un nesso causale tra la lesione alla salute psicofisica del paziente e la condotta dell'operatore sanitario in concomitanza o meno con le inefficienze e carenze di una struttura sanitaria. 





Il dibattito che ha sempre ruotato intorno alla responsabilità medica, ha visto costantemente contrapporsi la distinzione tra colpa comune e colpa professionale nell’ambito dei reati colposi. Si è posta pertanto una questione problematica in ordine alla sfera dell’attività professionale del medico, che è sfociata in vari orientamenti dottrinali e giurisprudenziali. 

   Queste le varie fasi del dibattito, a mio parere rilevanti: 
  1. Un primo orientamento, in cui la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alle regole che avrebbero dovuto trovare applicazione in ordine all’accertamento della responsabilità medica, ha preso in considerazione le norme civilistiche in tema di professioni intellettuali, nello specifico gli artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c., riferibili anche all’attività medica. Partendo da queste sopracitate norme, alcuni giudici hanno assunto un atteggiamento indulgente nei confronti del medico, riconoscendo la responsabilità professionale esclusivamente nei casi di palese violazione delle più elementari regole cautelari dell’attività professionale sanitaria, ossia in presenza di un errore inescusabile, originato dalla mancata applicazione delle cognizioni sanitarie generali o dal difetto di perizia e abilità medica nell’uso dei mezzi manuali o strumentali usati nell’atto operatorio o dalla mancanza di prudenza o di diligenza.
  2. Sentenza della Corte Costituzionale n. 166/1973: la Consulta si è pronunciata in merito alla questione di legittimità costituzionale sollevata con riguardo agli artt. 42 e 589 c.p., laddove, nella valutazione della colpa, consentivano al giudice di dare rilevanza solo ai gradi di colpa di tipo particolare, andando in questo modo a trattare in maniera diversa i cittadini a seconda del possesso di un titolo accademico o meno. A tal proposito, la Corte Costituzionale ha affermato che “la disciplina in tema di responsabilità penale non prescinde dal criterio stabilito dall’art. 2236 c.c. per l’esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi problemi tecnici di speciale difficoltà, giacché ciò è il riflesso del principio sistematico dettato da due opposte esigenze: quella di non mortificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie del paziente nell’ipotesi di insuccesso, e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso”. La Consulta, ha inoltre evidenziato che la valutazione della colpa in termini di gravità appare ragionevole ogni volta in cui vi sia un errore tipicamente professionale, derivante da un difetto di perizia, e non, invece, quando vi sia mancanza di prudenza o diligenza.
  3. Un secondo orientamento, vede la giurisprudenza discostarsi dalla nozione civilistica di inadempimento nell’esecuzione del rapporto contrattuale derivante dagli articoli 1176 e 2236 c.c. citati nel primo punto, andando ad affermare che l’attività professionale del medico debba essere valutata esclusivamente sulla base di criteri propri del diritto penale, anche nel campo della colpa generica, sia in riferimento alla perizia, sia alla prudenza o alla diligenza. Tuttavia, tale giurisprudenza ammette un’eccezione ricorrendo comunque all’art. 2236 c.c. nel caso in cui debba esaminarsi la condotta tenuta dal medico nel caso fosse costretto ad adottare la soluzione di problemi di particolare difficoltà, dovute alla mancanza di indicazioni in tema di diagnosi o di intervento, ovvero alla dubbiosità del caso.
  4. Il decreto Balduzzi e la riforma Gelli.
    L’art. 3 del D.L. 13 settembre 2012 n. 158, il c.d. decreto Balduzzi, nel testo previgente l’abrogazione operata ai sensi della L. 8 marzo 2017 n. 24, la c.d. riforma Gelli che ha il merito di aver tipizzato il reato di responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario ex art. 590-sexies c.p., stabiliva che “l’esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”. Quindi, in base a tale disposizione, fermo restando la responsabilità civile, il medico che nello svolgimento della propria attività professionale abbia rispettato le linee guida e le buone pratiche, potrà rispondere dei reati colposi eventualmente commessi solo per colpa grave, mentre non sarà punibile se ha agito con colpa lieve. 
   In definitiva, rispetto alla previgente disciplina della c.d. legge Balduzzi 189/2012, le novità introdotte dall’art. 590-sexies c.p. per la responsabilità penale del medico riguardano, in particolare: 
  • La mancata distinzione tra gradi della colpa, con la soppressione del riferimento alla colpa lieve; 
  • Stante l’esclusione dell’illecito penale nel solo caso di imperizia, sempre ché siano ovviamente rispettate le linee guida o le buone pratiche, la punibilità dell’omicidio colposo, o delle lesioni colpose causate dal sanitario per negligenza o imprudenza, indipendentemente dalla gravità della condotta, quindi anche per negligenza o imprudenza lieve. 
   In conclusione, il dibattito sulla responsabilità medica rimane ancora aperto, e le ultime norme di cui al punto 4 hanno dato luogo ad una serie di questioni problematiche riassunte qui di seguito. 
  • Dubbi di legittimità costituzionale. Il tribunale di Milano ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del D.L. 158/12, come convertito dalla L. 189/12, cioè della norma contenuta nel c.d. decreto Balduzzi, andando ad affermare che tale norma avrebbe introdotto “una norma ad professionem delineando un’area di non punibilità riservata esclusivamente a tutti gli operatori sanitari che commettono un qualsiasi reato lievemente colposo nel rispetto delle linee guida e delle buone prassi”. Successivamente, la Corte Costituzionale ha però dichiarato manifestamente inammissibile la predetta questione di legittimità costituzionale.
    (Trib. Milano, sez. IX (ord.), 21.3.13 (dep.), Giud. Giordano, imp. Andreata e altri)
  • Ruolo delle linee guida. La Corte di Cassazione ha affermato che le linee guida, pur rappresentando un importante ausilio scientifico con il quale il medico è tenuto a confrontarsi, non eliminano la sua autonomia nelle scelte terapeutiche.
    (Cass, Sez. IV Penale - Sentenza 19 settembre 2012, n.35922)
  • Profili di diritto intertemporale. La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla possibilità che la disposizione in esame abbia dato luogo ad una parziale abrogazione delle fattispecie commesse dagli esercenti le professioni sanitarie. I giudici di legittimità hanno affermato che “la nuova normativa ha parzialmente decriminalizzato le fattispecie colpose in questione, con conseguente applicazione dell’art. 2 c.p.. L’innovazione esclude la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve, che si collochino all’interno dell’area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica”. (Cass., Sentenza n. 16237 del 29 gennaio 2013).

                                                                                                   Dott. Nicola Amato

Nessun commento:

Posta un commento