L’istituto dell’indegnità è regolato dall’art. 463 c.c., il quale dà luogo ad una incapacità a succedere nel caso in cui il chiamato all’eredità si sia reso colpevole delle condotte elencate dalla norma. L'indegnità, pertanto, è una causa di rimozione dall'eredità che si fonda su un giudizio di riprovazione morale, alla cui base si trova una condotta esecrabile tenuta verso il de cuius, per cui non si considera meritevole che l'indegno gli succeda.
Nello specifico, l’art. 463 c.c. elenca le sette cause tassative che determinano l’esclusione dall’eredità. Tali cause possono essere distinte in due gruppi: da una parte i commi 1, 2, 3, 3 bis che concernono i fatti potenzialmente lesivi della personalità fisica e morale del defunto, come ad esempio tutti quei comportamenti di chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere il de cuius, o un ascendente o un discendente, o il coniuge, dall’altra i commi 4, 5, 6 che riguardano tutti i fatti lesivi della libertà testamentaria. Si precisa inoltre che, secondo una sentenza della Cassazione, si deve applicare l’istituto dell’indegnità solo nel caso di dolo dell’autore, rimanendo esclusa dall’applicazione dell’art. 463 c.c. l’omicidio preterintenzionale e quello colposo. (Cass. Civ., 22 dicembre 1984, n. 6669).
Un’altra sentenza della Cassazione stabilisce che l’indegnità a succedere, pur essendo operativa ipso iure, deve essere dichiarata con sentenza costitutiva su domanda del soggetto interessato, atteso che essa non costituisce un’ipotesi d’incapacità all’acquisto dell’eredità, ma solo una causa di esclusione dalla successione. (Cass. Civ., sez. II, 5 marzo 2009, n. 5402).
L’indegnità a succedere, infine, secondo una sentenza di Cassazione, non integra un’ipotesi di incapacità all’acquisto dell’eredità, ma è causa di esclusione dalla successione. (Cass. Civ., sez. II, 29 marzo 2006, n. 7266).
L’istituto dell’indegnità è stato recentemente modificato ed ampliato dalla legge n. 4 dell’11 gennaio 2018, che all’art. 5 ha introdotto nel Codice Civile l’art. 463 bis, rubricato “Sospensione dalla successione”, che prevede la fattispecie della sospensione di alcune categorie di soggetti dalla successione della persona che essi hanno ucciso o tentato di uccidere, fino alla decisione della sentenza di condanna che determina automaticamente l’esclusione dalla successione.
Nello specifico, l’art. 463 bis c.c. dispone nei primi due comma che sono sospesi dalla successione il coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile, indagati per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento. In tal caso, ai sensi dell’art. 528 c.c., deve essere nominato un curatore. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 444 c.p.p., il responsabile è escluso dalla successione ai sensi dell’art. 463 c.c..
La ratio legis dell’art. 463 bis c.c. è da ricercarsi nel fatto che il legislatore ha voluto di evitare che, a seguito dell’apertura della successione, il chiamato, legato da vincoli affettivi al de cuius, e indagato per omicidio volontario ai danni di quest’ultimo, possa usufruire indebitamente del patrimonio della successione, in attesa di una eventuale pronuncia di indegnità. L’intento quindi è quello di rafforzare il sistema dell’indegnità, escludendo immediatamente, e temporaneamente, da qualsiasi beneficio un soggetto che è indagato per indegnità.
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