La responsabilità da cosa in custodia rientra nell’istituto giuridico della responsabilità civile, e nello specifico nella responsabilità oggettiva. Ci sono tuttavia delle eccezioni alla regola generale, le quali portano a definire talvolta la responsabilità civile come soggettiva. In dottrina si ritiene comunque che la responsabilità civile sia sempre oggettiva e che sussista sempre e comunque a prescindere da ogni comportamento colposo o doloso perpetrato dal soggetto, il quale viene considerato responsabile in funzione del rischio che é chiamato a sostenere. Come ad esempio chi svolge attività pericolose, chi si avvale della collaborazione di altre persone per svolgere certe attività, o chi dispone di cose che potrebbero arrecare danno ad altri. A questo punto, basterà dimostrare il nesso di causalità tra l’azione svolta e l’evento dannoso occorso, senza dover dimostrare né il dolo né la colpa.
Fatte le dovute premesse, entrando ora nel merito della questione, é possibile asserire che la figura tipica della responsabilità per danni provocati da cose in custodia rientra nel novero della responsabilità oggettiva. E’ utile a questo punto precisare che i concetti di custodia ed uso vanno considerati in funzione dell’effettiva possibilità di poterne ricavare un qualche vantaggio o utilità. Infatti, la figura del custode puo’ essere assimilabile sia al proprietario, sia al conduttore qualora il bene sia stato concesso in locazione, sia all’usufruttuario del bene, sia a chiunque sia dato il bene o la cosa in custodia.
La responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia, regolamentata dall’art. 2051 c.c. e che riguarda proprio il danno cagionato da cosa in custodia, si palesa a seguito di un evento dannoso sorto nella cosa in custodia, si pensi per esempio ad una casa che subisce infiltrazioni di acqua; ma si palesa anche per danni provocati da una mancata vigilanza e controllo da parte del custode responsabile della cosa a lui affidata, a maggior ragione se questa provochi danni a terzi.
Viene a crearsi quindi la seguente situazione, che mentre incombe su chi ha subito il danno l’onere della prova sulla base della quale risiede la presunta responsabilità di chi aveva la cosa in custodia, quest’ultimo ha l’onere invece di provare che la causa del danno non é imputabile ad un suo mancato controllo o a una non attenta vigilanza, cercando quando possibile di imputare il tutto ad un caso fortuito.
Per quello che concerne invece i presupposti applicativi della responsabilità da cosa in custodia, ritengo che possano essere racchiusi sostanzialmente nelle seguenti tre analisi.
- Da un’analisi dell’art. 2051 c.c., che prevede la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, si evince la palese sussistenza di un rapporto di custodia della cosa, e quindi di una relazione di fatto tra la cosa stessa e il soggetto che la tiene in custodia, tale da consentire di controllarla e di vigilare al fine di eliminare le situazioni di pericolo che possano insorgere. Ovviamente, rientra nel diritto del danneggiato l’onere di provare il nesso causale tra la cosa data in custodia e il danno ricevuto, in altre parole, dimostrare che l’evento si è prodotto a seguito della particolare condizione potenzialmente lesiva della cosa, mentre resta a carico del custode la prova contraria del caso fortuito, che deve essere considerato sempre imprevedibile ed un caso di natura eccezionale.
- La presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. presuppone la prova del rapporto causale tra il danno e la violazione degli specifici obblighi di custodia e di controllo dello stato di conservazione e di efficienza della cosa, rimanendo comunque inalterato l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo.
- In materia di responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c., nello specifico in riferimento alla sentenza di Cassazione (Cass., sez III, ord. 14 maggio 2013, n. 11517), potrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso si sia verificato prima che l’Ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo che si era venuta a determinarsi, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell’intervento. Inoltre, il punto 4.2 della sentenza di Cassazione sopra menzionata, chiarisce che comunque la norma dettata dall’art. 2051 c.c. è fondata sul dovere di custodia che incombe al soggetto che - a qualsiasi titolo - abbia un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa, in modo da impedire che la stessa arrechi danni: la responsabilità relativa si fonda, cioè, sulla relazione diretta tra la cosa e l’evento dannoso, nonché sull’esistenza di un potere fisico del soggetto sulla cosa.
Per quanto riguarda infine il contenuto della prova liberatoria gravante sul custode, con particolare riguardo ai beni della P.A., sussiste il principio in ambito di responsabilità oggettiva che il danneggiato in effetti non è tenuto a dare prova della colpa dell’altro soggetto, dovendosi limitare esclusivamente a dimostrare di aver subito un danno e che questo sia stato prodotto da una causa che può essere ricondotta ad un caso di responsabilità oggettiva. Per quello che concerne invece l’autore del danno, esso deve adoperarsi per provare la sussistenza di una delle ipotesi liberatorie da responsabilità. La prova liberatoria, inoltre, può da una parte essere esclusa qualora ad esempio il fatto illecito sia commesso dai propri dipendenti, come nel caso della P.A., oppure può essere ammessa qualora si dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, oppure qualora sia accertato il caso fortuito.
Dott. Nicola Amato
Dott. Nicola Amato
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